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mercoledì 31 dicembre 2014

2014/2015  

Oggi è il 31 dicembre e per consuetudine sarebbe tempo di bilanci, di voltarsi indietro per vedere cosa si è fatto di buono e di guadare avanti per capire cosa si può fare per migliorare.

 
Io ormai credo di conoscermi abbastanza bene per poter dire che tutto questo, nel mio caso, è inutile. Se programmo so già per certo che non porterò a termine quasi niente. Se dovessi andare indietro di un anno scoprirei che, nella migliore delle ipotesi, sono riuscita a fare una sola cosa di tutto quello che mi ero ripromessa. Così evito e non mi volto.
 
Questa mattina, dopo aver salutato Margherita in partenza per la montagna, ho acceso la radio e parlavano del liberarsi dalle zavorre. Io ho una grossa, grossissima zavorra che mi impedisce di far prendere il volo alla mia vita, che mi fa vedere vecchia, brutta e stupida quando intorno la gente mi continua a ripetere che sono bella e giovane e che ho un intero mazzo di carte da cui poter pescare. Poi, vicino a questa zavorra, ci sono tante altre piccole zavorre che contribuiscono a incollarmi a terra.
Queste zavorre mi si sono attaccate addosso durante tutta la mia vita e in qualche strano modo sono io a non lasciarle andare. 
 
Ecco, questo è l’augurio che mi faccio e cha vorrei fare a tutti quelli che si trovano ancorati in un posto da cui vogliono scappare, ma non ci riescono: vorrei riuscire ad aprire le mani, a tagliare le corde che mi legano ad una vita piatta, senza prospettive, senza possibilità. Vorrei librarmi in volo e guardare per poter scegliere, sperimentare, darmi possibilità. Credere in me, in mia figlia e nella nostra vita; lasciarmi andare, trovare il coraggio, il tempo e la voglia, chiudere gli occhi  e buttarmi nel futuro.

lunedì 15 dicembre 2014

quasi natale  

Sono quasi le 6 di una quasi invernale serata di dicembre. Fuori è buio, piove e le luci delle feste sono accese a illuminare tutta la corte.
Iaia dorme, crollata da quasi un mese di tosse, da 4 giorni di antibiotici e da cinque anni di sonno difficile. Sono tornata a casa che lei mangiava pane burro e zucchero. Mi è venuta in braccio e senza preavviso si è addormentata.
L' ho portata nel suo letto e ho preso la videocamera che un Natale di mille anni fa avevo regalato a quello che sarebbe diventato mio marito e che ho ritrovato ieri riordinando la casa. Era dimenticata in un cassetto della sala in attesa che qualcuno trovasse il coraggio e la voglia di riprenderla.
C'era una cassetta dentro. Ho riavvolto il nastro e ho schiacciato play.
C'erano i nostri amici, bellissimi ed eleganti che aspettavano una sposa. Una sposa che non arrivava mai, una sposa arrivata con 40 minuti di ritardo e che era accompagnata da suo padre. Indossava un vestito che non era stato amore a prima vista, ma che a vederlo adesso è bellissimo. Aveva degli stivali bianchi perché il suo sogno da bambina era sposarsi in pantaloncini e stivali, alla cowboy e agli stivali non aveva rinunciato. C'era sua cugina con dei bellissimi capelli lunghi e ricci, che aveva appena sconfitto il suo secondo cancro. C'erano tutti e nessuno avrebbe mai pensato che il futuro avrebbe visto fallire quel matrimonio.
E' quasi Natale, mia figlia è malata e vederla addormentarsi così oggi mi ha stretto il cuore.
E' quasi Natale, il quarto che passiamo da famiglia allargata e forse il prossimo lei non sarà con me.
E' quasi Natale e io continuo a controllare che lei respiri perché la paura di perdere le persone che amo fa parte di me.
E' quasi Natale e io avevo acceso il computer per comprare il regalo che Margherita ha chiesto per il gatto, ma questi sentimenti strani, caldi, pieni di amore e di nostalgia non volevano proprio restare chiusi in un unico freddo cuore.