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sabato 17 settembre 2011

si le compro tutte!  


Questa mattina la mia vicina di casa ha suonato alla mia porta per chiedermi in prestito la bicicletta, perché la sua è ancora in montagna. La mia vicina è quella che ha cacciato di casa il marito non so quante volte, è quella che viene da me per un caffè e mi dice che vuole separarsi, è quella che mi ha detto di non amare più suo marito perché è sempre assente e perché vengono prima sua mamma suo fratello i suoi nipoti, il suo lavoro di lei e le loro figlie, quella che mi ha detto: almeno si trovasse un’altra così se ne andrebbe.

Mi chiede
“come va?”
“ come al solito, la settimana prossima firmeremo l’accordo e nel giro di venti giorni lui se ne andrà via e io comincerò una nuova vita”
“ Mi spiace, sai che noi siamo qui, se hai bisogno puoi venire da noi… “
“Grazie, sono sicura che ci saranno momenti molto difficili, all’inizio…”
“ Si, per questo conta su di noi.
Invece guarda cosa mi ha regalato ( e stende la mano allargando bene le dita, con gli occhi per l’occasione trasformati da forca a cuore) ieri per l’anniversario degli 11 anni, un brillante”.

Mi è venuto spontaneo mandarla “amorevolmente e scherzosamente” a cagare, ma non con cattiveria, sono contenta che i loro problemi fossero così futili da essere superati con un anello. Mi fa piacere che non ci sarà un’altra famiglia distrutta e che le loro figlie possano crescere serene come tutte le loro amiche. Il vaffa non è assolutamente rivolto a lei, semmai a un’altra persona, solo non mi sembrava il caso di dirlo a me, proprio in questo momento.

Così i conteggi nella nostra piccola comunità abitativa risultano ancora pari, nonostante il cambio di inquilini al piano di sopra: due famiglie separate e due ancora insieme.

Ma non capisco perché è tutto il giorno che ho le lacrime agli occhi, non scendono ma devo mandarle via con molto sforzo. Vorrei solo una spalla su cui piangere, un abbraccio di conforto e invece come al solito sono sempre, sempre, maledettamente sempre da sola.

domenica 11 settembre 2011

le varie fasi di un abbandono  


L’altro giorno il papà di Iaia ha pianto; ha pianto perché non bastano pochi mesi, e forse neanche gli anni, per accettare la perdita di un genitore. Ha pianto e avrei voluto piangere anch’io, abbracciata a lui, avrei voluto aiutarlo in qualche modo. Invece ho detto solo frasi idiote, fredde che mi hanno fatto capire quanto sia impossibile esserci allontanati così tanto. Non ci parliamo più, non ci raccontiamo più quello che ci succede, non scherziamo più, non ridiamo più.

Mi sembra di essere in mezzo a due fuochi: da una parte ci siamo io e lui, i genitori di Iaia, due persone che si sono amate tantissimo e che adesso per il bene della loro bambina devono restare amici, devono salutarsi quando uno dei due esce o rientra a casa, devono volersi bene e sapere di poter contare l’uno sull’aiuto dell’altro. Dall’altra parte c’è il male che mi ha fatto, la difficoltà di fare il primo passo, l’impossibilità di perdonarlo.
Credo che la strada giusta da prendere sia la prima, ma è anche la più difficile da percorrere, anzi no, da iniziare, perché sono sicura che se uno dei due facesse il primo passo poi sarebbe tutto meno complicato.

In questi due anni ho vissuto varie fasi, alcune tipiche di una separazione, altre strane, non ben identificate. Sono rimasta incredula quando mi ha detto “ D’altronde non è colpa mia se non ti amo più”. Sono sicura che queste parole non me le dimenticherò mai. Ho passato mesi a dirgli che non ci credevo. Poi è arrivato il dolore forte e a volte insopportabile che non mi ha permesso di essere una buona madre per la mia bimba. Ho pianto tanto, fino allo sfinimento fino a pensare di non vedere un futuro. Al dolore poi si sono affiancati l’odio e la rabbia, molto forti, che mi hanno fatto dire e pensare cose molto brutte. Una volta quando lui doveva partire per un viaggio di lavoro, gli ho detto che speravo che il suo aereo precipitasse. La rabbia toglie lucidità, non credo di essere una persona cattiva che augura la morte degli altri, ma questo pensiero ha ronzato nella testa diverse volte. Adesso per fortuna se ne è andato.
Queste tre fasi si sono alternate, hanno convissuto e si sono prese il loro tempo per due anni. Leggendo un po’ ho scoperto che sono le fasi normali che bisogna passare dopo un abbandono.
Circa un mese fa però è subentrata una fase che mi era sconosciuta, non ne avevo mai letto l’esistenza. Ho cominciato a sentirmi come svuotata, come se tutti i sentimenti che avevo provato si fossero azzerati. Non più rabbia non più dolore, non più disperazione, niente, il nulla. Mi sentivo come un sacco vuoto, senza alcun senso e quasi stavo bene. Poi però in questi giorni è tornata un po’ di rabbia e un po’ di lacrime agli occhi, ma non sono scese.

Credo di aver capito una cosa dopo tutto questo. Vedevo la nostra nuova famiglia come una specie di riscatto. Io ho avuto un’infanzia “sofferta”, mi sentivo sempre in difetto nei confronti dei miei compagni, perché loro avevano i genitori sposati e i miei erano divorziati. Per questo motivo lo scopo della mia vita era quello di dare a mia figlia due genitori che si amassero, una famiglia felice con cui uscire il sabato e la domenica, con cui andare a fare la spesa e andare in vacanza. Sarebbe stato come se io avessi potuto vivere attraverso di lei quello che mi è mancato. Si sarebbe cancellata tutta la mia sofferenza attraverso la sua felicità.
In questo ho fallito.
Per questo soffrirò nuovamente.

Adesso di lui mi manca la persona a cui appoggiarmi in qualsiasi situazione, con cui uscire, ridere scherzare, piangere, fare shopping. Insomma il mio migliore amico.

Poi nei momenti in cui mi sembra di stare bene anche senza di lui, a volte, mi chiedo: ma se lui mi chiedesse di tornare indietro, di riprovarci, cosa risponderei?